Tesina validata

Passando per il mondo dell’Acqua, viaggio alla scoperta di Sé

Viaggiare è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione. Ecco la sua forza. Va dalla vita alla morte Basta chiudere gli occhi.
È dall’altra parte della vita (Céline) “Callimaco, che non dice mai parola infondata, definisce “rugiada” il seme sparso da Efesto nel suo vano desiderio di Atena. Penetrando nella terra, nell’utero di Ge, quella rugiada aveva generato il bambino serpente.
Atena lo sollevò dalla terra nelle sue braccia di vergine. Il primo gesto fu quello di cingergli il collo con una catenella d’oro che custodiva due gocce del sangue di Medusa: una uccideva, l’altra guariva”

Il mito sceglie l’immagine poetica della rugiada per raccontare come lo sperma, il seme generante, abbia dato vita ad Erittonio che fu uno dei re di Atene.
È con l’elemento “acqua” che ha origine la vita ed è ancora attraverso l’acqua, nel liquido amniotico, che essa si sviluppa per i nove mesi di gestazione.
Acqua che genera dunque ma anche acqua che purifica, quando la cultura e la tradizione ci fanno bagnare da essa per accedere al mondo dello spirituale e del religioso.
L’acqua può anche distruggere, quando il racconto del diluvio universale costringe gli uomini a consegnarsi all’oblio e ad esserne travolti e sommersi insieme a tutti i loro peccati.
Nessuna memoria razionale ci permette di ricordare il tempo trascorso nel ventre materno. Il bacino dal quale attingiamo proviene dalle profondità della coscienza, dai sotterranei della mente dai quali sgorgano i sogni e le sensazioni di questa nostra vita precedente.

 

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Un mistero che ci abita ancora prima di venire al mondo, quando si sogna di vivere. Un mistero contenuto in ciò che è liquido prima di approdare e scoprire la solidità della terra sotto e dentro la quale l’acqua continua a scorrere.
La forza di gravità ci tiene sospesi nel cielo impedendoci di cadere, impedendo che il peso del nostro corpo, contenente acqua, si perda nell’universo.
Questo senso di pienezza e di vuoto, che avvertiamo ancestralmente come cellula di una nostra identità più ampia e universale, ce lo giochiamo in riva al mare, da bambini, come primo approccio di sperimentazione del mondo “manipolando” proprio l’elemento dal quale proveniamo: l’acqua.

Comportamento questo che fa precedere alla nascita del linguaggio e del gioco simbolico la comparsa del gioco stesso, inteso come azione ludica che indaga e sperimenta il mondo circostante.
È proprio attraverso il gioco che è possibile minimizzare le conseguenze delle azioni, apprendendo in una modalità meno rischiosa che riduce sia la tensione che la possibilità di frustrazione.
In un percorso di scoperta e di nascita psicologica, lo strumento ludico rappresenta la risorsa più forte e creativa dell’individuo per intraprendere il percorso di conoscenza dei meccanismi interiori e del mondo circostante. Pieno e vuoto, interno ed esterno, madre e bambino. Il ritmo della relazione si stabilisce nei tempi dell’allattamento; ed ecco tornare ancora la sostanza liquida, il latte, che nutre e riempie.
Bisogno, vuoto, soddisfazione.

La ripetizione concretizza la traccia e il vuoto non è vuoto ma è denso di attesa per qualcosa che si sa che avverrà e il neonato fa esperienza della sua dipendenza dall’adulto, sia per quanto concerne il nutrimento che il soddisfacimento affettivo.
Per Winnicott il gioco è la via attraverso cui si fonda la psiche e si approda all’indipendenza. Il gioco, prosegue ancora Winnicott, non è né psichico né fisico ma occupa uno spazio intermedio: è la porta attraverso la quale si accede ad entrambi.
La dimensione ludica deve essere intesa, soprattutto dall’adulto che si relaziona con il bambino, come un’area puramente gratuita e non autotelica (cioè con uno scopo).
La ricerca o la proposta di un contesto liquido permette alla madre e al bambino di poter vivere quei momenti di “allegra follia” dentro ad una dimensione che risuona ancora per entrambi come il primigenio luogo d’incontro che per uno è stato reale mentre per l’altra immaginato.

Una dimensione, quella dell’acqua, che allenta e dilata il tempo oltre che il peso e la percezione del proprio corpo.
Qui, madre e bambino riaffermano il binomio relazionale rafforzandolo e includendo, nella sfera comunicativa, anche il papà. Il percorso in acqua parte quindi dal presupposto fondamentale che il bambino faccia esperienza, a partire dal suo primo anno di vita, delle sue risorse sensoriali e motorie in una relazione intima con i genitori sfruttando contemporaneamente la possibilità di interagire con l’operatore (e cioè una figura adulta competente circa la vasta gamma di possibilità di ascolto dei bisogni del bambino) e con altri piccoli nuclei familiari.
In questa dimensione protetta e ricca di stimoli il bambino può avventurarsi, attraverso le prime forme di autonomia “nuotando” da solo, grazie all’ausilio e al sostegno della madre che si pone in fase di “apertura” e incoraggiamento verso il mondo esterno.

Ogni incontro del neonato con il mondo risveglia la sua curiosità ma anche la sua ansia. Il ruolo dell’adulto (che siano la mamma, il papà o l’operatore stesso) come figura di riferimento e di mediazione con l’esterno è quello di aiutarlo nella rassicurazione, nel rilassamento e nell’abbassamento del livello di paura. Il lavoro di preparazione all’ingresso in acqua, sul bordo della piscina, è un momento estremamente importante tanto da doversi considerare l’opportunità più concreta per il bambino di “scegliere” quando entrare in acqua.
La mia esperienza di psicomotricista mi fa paragonare questo “preludio” a quello dell’arrivo e della preparazione dei bambini in atrio, luogo nel quale essi possono decidere di restare anche durante tutto il tempo dei giochi in sala a guardare, sbirciare o restare tra le braccia del genitore per le coccole.

Il patto fondamentale che si stringe con i genitori, prima di iniziare questa esperienza, è quello di non forzare in alcun modo il bambino né di sovraccaricarlo di aspettative ma piuttosto quello di mettersi in relazione con lui attraverso la scoperta di nuove modalità capaci di creare una sintonia circa i reali bisogni del piccolo.
Questa fase preliminare è quindi un’occasione per entrambi di conoscersi interagendo con piccoli oggetti colorati, con l’acqua dentro ai secchielli o anche semplicemente agendo con il proprio corpo del quale il bambino fa conoscenza sperimentandosi nello sguardo, nella coordinazione e nella distanza. Il corpo del bambino produce emozioni.
Attraverso l’acqua, nella quale la psiche si fa più morbida e le tensioni si allentano, le sensazioni trovano libertà di passaggio per muoversi e attraversare stadi più profondi. Importante quindi non preparare una “pista precisa” ma creare le condizioni giuste affinché l’espressività si realizzi e il bambino viva ciò che ha voglia di vivere.

Nelle fasi preliminari, sia fuori che dentro l’acqua, i giochi vocali, la prossemica del volto, i micromovimenti dello sguardo e l’uso della bocca possono aiutare il bambino a “provare” le proprie competenze che si esprimono attraverso lo sguardo, i movimenti della testa quando si sente chiamare, i gorgheggi e la mimica facciale in fasi alte di eccitamento.
Questa modalità di “non programmazione” risponde in realtà ad una modalità molto chiara fatta di tempi e modi, un setting all’interno del quale genitori e bambini si muovono attraverso una scansione di “senso”.
Esiste una durata dell’incontro suddivisa in due fasi fondamentali: fuori dall’acqua e dentro l’acqua.
La prima, già ampiamente esposta, è caratterizzata dalla conoscenza del posto nuovo. I suoni e i rumori che il bambino percepisce sono quelli di un luogo estraneo che presto, con le dovute accortezze e senza traumi, diventerà familiare e forse anche facente parte del suo immaginario di sensazioni che si vanno arricchendo.

Le trasformazioni alle quali il neonato assiste riguardano anche la mamma: in tenuta da piscina sicuramente assumerà sembianze “diverse” rispetto alla mamma di tutti i giorni alla quale è possibile mettere le mani nei capelli (azione questa che molti piccoli compiono come gesto di rassicurazione e di piacere) ma che qui sembra non averne. Inoltre l’acqua deforma le cose e attutisce i suoni rendendo “mobile” ogni superficie.
Per un neonato che sta cercando di codificare gli input che riceve dal mondo esterno, in una costante relazione di dipendenza dalla mamma, deve essere impegnativo questo viaggio di conoscenza.

È necessario quindi che la prima fase tenga conto di tutti gli elementi (come anche quelli riguardanti il prima e il dopo piscina come la pappa e la nanna) affinché si evolva nel pieno rispetto dei tempi del bambino.
Per i piccolissimi è possibile ricevere l’allattamento in acqua prolungando il piacere del nutrimento provato nella pancia della mamma rafforzando il legame e il “dialogo” affettivo in atto.
Spesso i genitori, nei percorsi psicomotori, vivono la non entrata del figlio in sala come una forte frustrazione e fallimento.
È un compito arduo quello di far comprendere che si deve osservare ciò che il bambino “fa” e non ciò che “non fa” senza paragonarlo agli altri ma che soprattutto il percorso intende il dentro e il fuori come unico valore dell’esperienza.

Questo tipo di pensiero può essere sviluppato quando si parlerà ai genitori dell’immersione precisando che non è l’obiettivo ultimo dell’acquamotricità neonatale ma una tappa che va conquistata come le altre e che si realizzerà quando il bambino sarà pronto ed avrà interiorizzato gli altri momenti del suo “viaggio”.
La seconda fase riguarda l’entrata in acqua. Lo spazio previsto permette “isole” relazionali tra madre e bambino (con anche il papà se è presente) durante le quali è possibile “giocarsi” la relazione senza necessariamente aprirsi ad altre interazioni.
Questo potrà avvenire più avanti e rientra sempre nel discorso spontaneo e di necessità reale dei piccoli.

È chiaro che sarà possibile favorire l’incontro in acqua con altri neonati, senza però forzarlo. I primi ingressi saranno di conoscenza anche per i genitori che saranno supportati dagli operatori nella “presa” in acqua del loro bambino. Quest’ultima si avvale di suggerimenti circa le posizioni funzionali che favoriscono il movimento e l’esplorazione in vasca e l’affinamento, per i genitori, dell’ascolto del corpo del loro bambino e della soglia oltre la quale è bene non chiedergli di andare.
Le stimolazioni proposte sicuramente offriranno al futuro del bambino possibilità di apertura all’apprendimento e alla strutturazione delle risorse emotive e degli organizzatori caratteriali.
L’acqua non scorre linearmente ma con un movimento a spirale. Questo andamento che dalla periferia tende verso il centro lo troviamo nel nostro corpo tradotto in energia all’interno della colonna vertebrale o nei liquidi presenti nel corpo e nel sangue.

La pratica dell’acqua fin dalla nascita mantiene vivo il moto centripeto nella memoria del nostro corpo riequilibrando e assestando le modificazioni e le alterazioni che subiamo nel corso della nostra vita.
Durante la seconda fase quindi e nel corso degli incontri, il neonato potrà inoltre godere delle carezze e del massaggio che riceve anche durante il bagnetto di casa, dell’ausilio di presidi natatori (salvagente, braccioli, anellini, bastoni) di giochi colorati, uno spazio vasto dove avventurarsi e l’occasione di incontrare coetanei con i quali scambiare momenti di gioco.
Anche l’ausilio della musica può rivelarsi uno strumento prezioso per allentare la tensione e le paure e può rendere l’esperienza ancora più “sensazionale” avendo un potere suggestivo e consolatorio, in alcuni casi, ma anche stimolante ed energizzante per la sua natura aerea e imprendibile, in altri.

Dopo i primi incontri, quando il bambino si è un po’ adattato a questo appuntamento settimanale, si potrà proporre l’immersione. Come già specificato precedentemente, questa è un’ulteriore possibilità e non l’obbiettivo ultimo del lavoro.
L’immersione apporta al bambino un miglioramento della sua gittata cardiaca, l’ottimizzazione dell’uso dell’ossigeno e un rafforzamento degli organi vitali. Sarebbe meglio proporla prima dei sei mesi, quando la consapevolezza del pericolo non è ancora presente ed è ancora possibile farla vivere come un gioco. Qui l’operatore sarà in stretta relazione con la figura di riferimento e con il bambino che ormai lo sente “familiare” a sé.

Questa pratica, se ben accolta, procederà lentamente con proposte sempre più ardue a seconda della risposta e dell’andamento (non sempre lineare) del piccolo. La preparazione all’immersione, soprattutto per i genitori è molto importante al fine di una riuscita piacevole e consona all’intera esperienza. Si tratta semplicemente di informarli su una serie di accortezze da tenere in considerazione.
La terza fase, e cioè l’ultima, riguarda la necessità di abbassare e riequilibrare le energie e l’eccitamento scaturito dalle attività precedenti per far rientrare il bambino in una dimensione quotidiana senza stacchi improvvisi e traumatici. Si prediligeranno quindi modalità di rilassamento in posizione supina, galleggiamento sulle cosce, coccole e possibilità di cullare il piccolo scegliendo liberamente sia l’acqua che lo spazio iniziale a bordo vasca.

Questo tempo di decantazione riguarda anche la compensazione termica prima di uscire dalla struttura. In tutto questo “lavoro” la fretta non potrà favorire in alcun modo lo sviluppo e la concatenazione dei meccanismi e degli stimoli che verranno messi in atto.
Questo deve essere un tempo programmato con chiarezza e consapevolezza sia dai genitori che dagli operatori, affinché ciò che emerga principalmente sia il vivere il piacere dell’acqua!
La scelta personale di avvicinarmi alla pratica in acqua, nasce principalmente dalla sensazione che questo elemento suscita in me e dalla difficoltà a restarne troppo a lungo lontana.
Probabilmente il fatto di essere nata sul mare giustifica il “dolore” ancestrale, la fitta profonda che avverto tutte le volte che me ne separo. Inspiegabile, come lo è il sentimento dell’amore, resto sorpresa tutte le volte dal forte respiro che il mio corpo riacquista alla sola vista del mare e alle innumerevoli sensazioni, ogni volta rinnovate, che provo durante il nuoto o la semplice immersione.

La mia professione, oltre alla mia anima, non può che esserne arricchita come spero quella di chi decide di offrire un’occasione così “vitale” al proprio bambino. Affidare e affidarsi all’ascolto del bambino e dei genitori dentro ad un elemento fortemente risuonatore com’è l’acqua può insegnare la strada.
L’esperienza mi aiuterà a creare il senso di questo nuovo e ulteriore viaggio che ho deciso d’intraprendere.
“Alfeo e Aretusa: acqua con acqua, la sorgente che sgorga dalla terra, la corrente che risale dalle profondità marine, l’incontro di due linfe che hanno viaggiato a lungo, assenza di bastioni verso il mondo, parole gorgoglianti.
Fra l’acqua di Aretusa e l’acqua di Alfeo l’unica differenza è nella schiuma sulla cresta di Alfeo, che emerge dal mare. Ma il sapore è simile: entrambe vengono da Olimpia, la città della gioia”

 

 Alessandra Tomassini

Acquamotricista® Prenatale

 

 

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