Tesina validata

Mi ascolto per poterti ascoltare

Storia di una ricerca personale per una relazione sincera con il prossimo.
Dedico con amore sincero queste pagine a me stessa per essermi finalmente ascoltata, ai miei figli per avermi fatto dono del cambiamento, al mio compagno per la nostra forza, alla famiglia di Mammole per avermi accompagnata nell’ascolto e a tutte le donne che ho incontrato e incontrerò sulla mia strada

 

I  Introduzione

II L’acqua come cura

  • Il sogno
  • Linfa vitale
  • Le gestanti in piscina

III Maternal Walking per il benessere in gravidanza e puerperio

  •  Alla riscoperta della posizione eretta… sorridendo
  •  Un sorriso è una curva che raddrizza tutto
  •  L’universo femminile e la ricerca del benessere – I benefici del Nordic Walking

IV Pilates in gravidanza e nel puerperio: la forza del pavimento pelvico

  • Power house: pronti, partenza, stop!
  • Il pavimento pelvico: la grande forza sconosciuta

V La rivoluzione silenziosa dello Yoga

  • Cosa significa difficile e facile?
  • La rivelazione dello yoga
  • La rivoluzione dello yoga

VI Feldenkrais®: dalla lentezza alla consapevolezzaIl metodo Feldenkrais® e le sue caratteristiche principali 

  • L’utilità del metodo Feldenkrais® nei corsi di accompagnamento alla nascita e nel puerperio

VII Peer suppoter per l’allattamento – Un atto d’amore 

VIII Conclusioni

 

I

Questa tesi è il racconto del mio viaggio personale cominciato con la prima gravidanza, che ha cominciato a farmi aprire gli occhi sulle risorse e conoscenze che possedevo, inconsapevolmente, dentro di me. Con la gravidanza è iniziato il mio ascolto inconsapevole, istintivo, dei segnali che il corpo e la bambina mi inviavano. Il cambiamento che ne è scaturito ha rivoluzionato la mia vita ed è diventato via via più consapevole anche grazie alla scuola di operatore olistico materno-infantile che ho deciso di frequentare per rispondere a un desidero e una necessità di spingermi oltre nella conoscenza di me, orientata poi alla conoscenza dell’altro. Ho realizzato presto che senza ascoltarmi e conoscermi non potevo aiutare e sostenere altre donne nel loro percorso di vita. Senza l’ascolto di me stessa, l’ascolto degli altri si presentava sempre troppo superficiale e inefficace. Ascoltarsi e ascoltare può fare molta paura perchè richiede attenzione, concentrazione ma soprattutto una totale fiducia e sincerità con sé stessi e gli altri e un’accettazione senza giudizio di quello che poi emerge.
Per me la consocenza è iniziata prima con un lavoro corporeo che si è esteso poi a mente e anima, perchè in un approccio olistico è impossibile non tener conto di tutti gli elementi. E dal mio punto di vista non esiste un approccio diverso da quello olistico per conoscersi, volersi bene e vivere e relazionarsi in modo sincero con le altre persone. In questo scritto ripercorro alcune tappe del cammino affrontato con Mammole per riscoprire tutti quegli elementi che per la mia persona sono la base per sostenere efficacemente e consapevolmente altre donne in modo particolare durante la gravidanza e il puerperio.

II

L’acqua come cura. Il sogno

Ero alla mia seconda gravidanza. La prima vissuta molto serenamente e spensierata, mentre la seconda con mille preoccupazioni e paure. Paura dettate probabilmente dall’aborto spontaneo avuto pochi mesi prima che aveva lacerato quel velo di spensieratezza con la quale avevo vissuto la prima.
Oltre alla mente, anche il fisico questa volta reagiva in modo diverso: le nausee fortissime e il vomito al primo movimento e anche alla prima sorsata d’acqua, mi costringevano spesso sul divano, incapace anche di stare con la mia primogenita. Nausee invalidanti che lasciavano tanto spazio al pensare invece che al fare e che mi assalivano da metà mattina fino a sera.
Un mattino mi sveglio e mi rendo conto di stare leggermente meglio e mentre provo a fare colazione non riesco a smettere di pensare al sogno fatto durante la notte. Mi capita spesso di ricordare i sogni e alcuni sono veramente articolati e assurdi mentre altre decisamente premonitori. Ma mai ho vissuto un sogno così realistico e così fuori dalle mie corde, diverso dagli ambienti tipici e ricorrenti che di solito ricordo. Mi rendo conto di aver sognato di nuotare tutta la notte. “Molto strano” penso. “Io non amo l’acqua, non mi piace nuotare e non l’ho mai sognato prima”.
Nel sogno ero immersa in un mare cristallino quasi trasparente. Il mare era così calmo che non si percepiva neanche il movimento dato dalla nuotata. La sensazione era di catarsi.
Il silenzio abbracciava questo mare incantato, lambito ogni tanto da piccole isolette di sabbia chiara. Il sole si rifletteva nell’acqua ma non era accecante, non dava fastidio agli occhi: la luce era quasi bianca e si tuffava nell’acqua come se non ci fosse distinzione di materia. L’acqua era piacevolmente calda e sentivo che il mio corpo era come quello di una sirena. Anzi, a dir la verità come una foca.
Un’immagine decisamente meno poetica ma più vicina alla realtà. Avete mai visto nuotare una foca?
Tanto impacciata sulla terra ma così agile nell’acqua. Mi muovevo così in questo mare, con una leggiadria che non mi è mai appartenuta. Infatti, sono spesso impacciata sulla terra e anche in acqua.
lo sono se penso a quelle poche volte che provo a nuotare per cercare quel piacere che tanti provano.
Ma nel sogno era come se l’acqua non mi opponesse alcuna resistenza, anzi come se l’acqua scivolasse sul mio corpo e mi sollevasse appena per farmi procedere senza fatica. Non erano le mie gambe (pinne?) o le braccia a nuotare perché non avevo bisogno di nuotare: io ero acqua. Mi percepivo un tutt’uno con il mare calmo e piatto e la sensazione provata era così confortante da commuovermi fino alle lacrime. Il cuore gonfio di emozioni mi faceva stare bene e percepivo molto distintamente di non essere sola. Aggrappato alla parte destra del mio corpo trasportavo un piccolo bambino, un maschio. Impossibile dargli un’età perché non era ancora nato. Aveva il corpo e il viso di un bimbo ancora nella pancia della mamma. Il bimbo stava bene, era al sicuro attaccato a me, la sua mamma, e io dolcemente mi spostavo con lui in questo mare e gli mostravo quello che vedevo, raccontandoglielo con il solo sguardo. Gli parlavo dei colori dell’acqua, del cielo e della sabbia dei piccoli isolotti. Pelle contro pelle gli trasmettevo il mio sentire e il bambino osservava in silenzio, sereno. Stavamo bene in questo mondo surreale, fatto per noi, fatto di noi.

Il sogno termina così. Ricordando il sogno a occhi aperti, rimango molto sorpresa della sensazione di benessere e quiete che mi pervade. Non mi spiego come mai io abbia sognato l’acqua tutta la notte perché è sempre stato un elemento molto lontano da me.
E quella facilità e naturalezza con la quale mi muovevo nell’acqua era una sensazione nuova, quasi inspiegabile a parole. E il bambino, il mio bambino… così bello e sereno. Ritorno alla realtà richiamata dalla mia bimba che mi sta raccontando qualcosa.
Oggi mi sento bene e esco per accompagnarla all’asilo. Continuo così la mia giornata e arrivo fino a sera, senza nausee, senza vomito, senza malessere. E così per il resto della gravidanza.
Fino all’otto di agosto, giorno in cui finalmente ho avuto il privilegio di conoscere e abbracciare il mio piccolo. Ovviamente, un maschietto.

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    – Acquamotricista® Prenatale

     

    Linfa vitale
    Questo sogno, che fino ad ora avevo raccontato a poche persone, ha avuto sempre per me un significato importante perché sono convinta che sia legato alla fine del mio disagio, non solo fisico, di inizio gravidanza. Ma mi rimaneva sempre un dubbio: perché il semplice sognare di nuotare è stato curativo per me? Capisco il legame tra acqua e gravidanza ma io davvero non ho mai avuto un gran rapporto con l’acqua: non so nuotare bene, non mi piace la piscina, adoro il mare ma entro poco e non metto mai la testa sotto.
    E improvvisamente al corso di acquamotricità prenatale tutto è diventato chiaro, cristallino come il mare del mio sogno! Durante quella spledida giornata ho capito, o meglio percepito, come l’acqua in realtà mi appartenga. Già durante la parte teorica sentivo uno strano richiamo a voler entrare in acqua, ero impaziente. Volevo quasi misurarmi con lei, mettermi alla prova e invece non è servito perché l’acqua poi mi ha accolto. Avvolgente come l’abbraccio di una
     madre, calda come l’acqua che mi ha circondato per nove mesi. Ho vissuto la giornata di acquamotricità prenatale con un’intensità non attesa, non cercata e sorprendente. Rigenerante per la mente come lo è un sorso di acqua ghiacciata in una calda giornata estiva. Mi sono sentita esattamente come nel mio sogno, a mio agio, nel mio elemento. E lì ho ripensato al mio rapporto con l’acqua e a come in realtà è un filo conduttore della mia vita. Ricerco sempre l’acqua calda: le terme, la boule per alleviare dolori, un bagno rilassante per ricaricarmi, la bevanda calda quando devo concentrarmi. E il mare che mi ha sempre chiamato, che fà parte del mio dna e che chiama sempre più forte al punto da farmi cambiare vita e trasferirmi vicino a lui. E’ vero, quando sono in spiaggia non entro spesso in acqua, ma anche in questo caso, ripercorrendo quello che ho vissuto, ricordo bagni di vita fatti a maggio nell’acqua ghiacciata quando ero l’unica in spiaggia, la sensazione di pace data dai miei piedi a mollo seduta sul retro di una barca a vela spinta dal vento, ricordo i respiri profondi e la chiarezza nei pensieri che solamente guardare il mare mi porta. Quando c’è acqua mi sento connessa con la natura, con la mia anima, mi sento viva. Io, razionale e terrena, trovo il coraggio con l’acqua. Non mi ha mai lasciato indifferente, mi fa paura e mi attrae allo stesso tempo.
    L’acqua è cambiamento e per questo mi spaventa ma non posso fare a meno di seguire il suo richiamo. In particolare, a partire dalla prima gravidanza niente è più stato uguale. Sono diventata a mia volta una sorgente: le lacrime versate per ogni emozione nuova, il liquido che ha accolto e cullato i miei bimbi dentro di me, il sangue che ha permesso di creare nuova vita, il latte che ha nutrito e che nutre, consola e appaga i miei figli e me stessa. Mi rendo conto che con le gravidanze sono diventata ricca di acqua di vita e questo arricchimento lo sento ancora adesso, non posso più ignorare il mio legame con l’acqua. E questo processo ha messo a nudo la parte più profonda di me, mi ha spinto a prendere in mano i miei desideri più sinceri e ad affrontarli. L’acqua per me è passione, è cambiamento, è vita, è cura.

    Le gestanti in piscina
    Questo percorso mi ha portato a fare un’esperienza che pochi mesi fà non avrei mai immaginato. Ho accompagnato delle gestanti in piscina come acquamotricista prenatale. Questo desiderio è nato forte in me dopo il corso di acquamotricista, inizialmente scelto come uno dei tanti moduli di un percorso di studi più lungo e articolato.
    Seguire diverse gestanti durante le lezioni mi ha riportato in
     un ambiente che non ho mai amato frequentare: la piscina. L’acqua è spesso fredda e puzza di cloro, l’ambiente è caotico e non permette di certo un lavoro bello e rilassante come quello che si può fare alle terme. Soprattutto per la temperatura dell’acqua che lascia poco spazio a lavori di rilassamento.
    Lo spazio è ristretto e anche questo fattore diminuisce l’interazione del gruppo. Nonostante queste siano le difficoltà più grandi incontrate, ho cercato di impostare delle lezioni che permettessero un graduale contatto e collaborazione tra le gestanti e una ricerca di un ascolto personale da parte delle stesse. Di volta in volta poi variavo gli esercizi in base alle persone presenti e al loro feedback, soprattutto non verbale. In un corso di acquamotricità prenatale si trovano persone che hanno deciso di partecipare per svariati motivi: perché l’ha detto il ginecologo, per rilassarsi, per fare movimento e tenersi in forma, per scaricare le tensioni, ecc. Nel corso delle lezioni mi rendevo conto che il loro corpo però parlava meglio di quello che mi comunicavano a voce. Una persona che sosteneva di essere iperattiva, di non riuscire a rilassarsi e che voleva esercizi ad alto impatto aerobico, era la prima ad abbandonarsi totalmente durante il rilassamento, altre ragazze che a detta loro non sapevano nuotare riuscivano a fare un delfinetto come se fossero degli essere acquatici e non terrestri. È stata un’esperienza illuminante. Vedere donne in gravidanza nuotare sott’acqua come se volassero mi ha rimandato al sogno diverse volte e mi ha emozionato molto vedere negli occhi di alcune lo sguardo che avevo già visto nelle mie compagne durante il corso di acquamotricità al quale ho partecipato. Uno sguardo denso, di consapevolezza e di emozione.
    Quello che vorrei trasmettere nel tempo che passerò con le gestanti in piscina è una sensazione di benessere e fiducia in loro stesse. E nell’acqua più che mai le donne sanno già da sole cosa le fa star bene. Il loro corpo parla per loro e per i loro bambini e le guida alla ricerca del benessere. Una cura, un prendersi cura dell’anima attraverso il corpo.

     

    III.

    Comincia a prendere forma una consapevolezza di grandi risorse dentro di me. Pur avendo sempre fatto sport o altri corsi, con l’esperienza del Nordic Walking per la prima volta questo potere interiore prende forma, grazie a un ascolto corporeo attento a tutti i dettagli. Ascolto centrato sulla propria persona grazie anche a un maestro che non si è presentato come “io sono perfetto, fate come me”. Ci ha spinto a osservare il nostro corpo e solo dopo averlo ascoltato a cercare (e non copiare) la tecnica di camminata corretta.

    Maternal Walking per il benessere in gravidanza e in puerperio

    Alla riscoperta della posizione eretta… sorridendo.
    “La postura eretta dovrebbe essere ben bilanciata su tutti i piani per evitare la necessità di ricorrere ad un dispendioso lavoro muscolare per il mantenimento dell’equilibrio. Il capo dovrebbe essere centrato sulla cintura scapolare e il bacino sul poligono di appoggio, le spalle rilassate, il peso ripartito in modo simmetrico sulle gambe, i piedi distanziati più o meno quanto la larghezza delle spalle.
    Di tanto in tanto è opportuno mobilizzare le articolazioni del bacino, del tronco e delle spalle o effettuare qualche passo.” (schienainsalute.it)
    Facile vero? Quante volte nella vita ci siamo sentiti ripetere di stare con la schiena dritta, di aprire bene le spalle, tirare in dentro la pancia, di tenere la testa alta.. questo dai genitori, dalle maestre a scuola, dagli insegnanti nei corsi di attività fisica. Parole importanti ma abbastanza vuote di significato perchè poco motivanti. Non appena si assumeva la posizione corretta, la testa cominciava ad andare da un’altra parte e la schiena tornava giù, le spalle si chiudevano, la testa tornava bassa e così via. O perlomeno, questo è quello che mi è sempre successo e che ho spesso notato nelle altre persone.
    Anche se, riflettendoci bene, perchè i miei nonni li ricordo con la schiena dritta, la testa alta e lo sguardo fiero? Il cambiamento di postura delle ultimissime generazioni può essere dovuto a un cambiamento dello stile di vita rispetto al passato? Poca attività fisica e posizioni sedentarie, lavori d’ufficio, poche ore spese all’aria aperta e molto stress.

    Un sorriso è una curva che raddrizza tutto
    Poi ho incontato il Nordic Walking, una disciplina che ha le sue più profonde radici nello sci di fondo e che poi si è trasformato in una vera e propria attività con delle sue caratteristiche specifiche.
    Il Nordic Walking può essere la risposta per poter riassumere una posizione corretta non solo durante l’attività fisica ma durante tutta la giornata. E partendo da una semplice regola: il sorriso. Questo sì che è davvero facile! Sorridere! Non appena l’istruttore di Nordic Walking me lo dice, provo a camminare o a stare in piedi con la solita espressione e poi a fare le stesse azioni sorridendo. Gli angoli della bocca si alzano… e la testa? E le spalle, la schiena? Come se un filo invisibile sollevasse gli angoli della bocca e poi tutte le altre parti del mio corpo. All’improvviso mi sento più alta, più dritta, più felice. Sento che la colonna vertebrale si allunga quasi in automatico e riesco a respirare meglio. Un frase pronunciata dall’attrice americana Phyllis Diller riassume perfettamente il mio pensiero: Un sorriso è una curva che raddrizza tutto. E da questo presupposto, impostiamo tutto il corso.
    Il Nordic Walking non è una semplice camminata veloce come può sembrare a un osservatore esterno, ma prevede un movimento tecnico molto preciso che richiede tempo per essere appreso e interiorizzato e che coinvolge l’85% della muscolatura corporea. Ma se praticato con il sorriso è uno strumento potentissimo per sentirsi bene fin dai primi passi.

    L’universo femminile e la ricerca del benessere
    La mia attenzione per il Nordic Walking si è subito spostata alla sua applicazione con le donne, in particolare nella gravidanza e nel puerperio. Il benessere fisico si trasforma in uno stato di benessere globale che inevitabilmente e fortunatamente si riflette su chi abbiamo vicino. A maggior ragione, se pensiamo alla gravidanza e al puerperio, il benessere riflesso sul bimbo in grembo e sul neonato è immediato.

    Benefici del Maternal Walking:
    La tecnica del Nordic Walking apporta a chiunque lo pratichi dei benefici a livello posturale e muscolare. Andrò a focalizzarmi su quelli maggiormente riscontrati durante lo svolgimento del Nordic Walking in ambito materno.

    La postura eretta
    La riscoperta della postura eretta è uno degli aspetti più positivi del Nordic Walking. Nel maternal walking l’attenzione alla postura porta le donne ad ascoltarsi e a percepire come il proprio corpo sta  cambiando in gravidanza e a come è cambiato dopo il parto. Le donne in gravidanza che ho accompagnato hanno notato come parti del loro corpo sono protese in avanti, sia per la pancia che sta crescendo, per il bacino che si sta modificando e sia perchè in gravidanza spesso si tende a protendere verso l’esterno la propria fisicità in evoluzione come a volerla mostrare al mondo.
    Ovviamente queste condizioni sono fortemente soggettive e possono variare a seconda delle gestanti.
    Quello che accomuna tutte è il cambiamento degli equilibri posturali. Imparare ad ascoltare la propria camminata e a trovare l’equilibrio posturale corretto tramite un appoggio attento del piede, ad esempio, aiuta le gestanti a capire in modo  autonomo quale posizione assumere man mano che il corpo si modifica per non gravare il peso solo su una parte dello scheletro. Per le puerpere, è necessario uno strumento intermedio come la fascia o il marsupio in modo da portare con sé il bambino e distribuire il peso in modo più uniforme possibile. Il peso del bimbo in fascia o marsupio è solitamente ben accolto dalla madre e permette una posizione più corretta rispetto al portare il bimbo in braccio (spesso sbilanciato di lato) o allo spingere il passeggino con la schiena protesa in avanti. Il corpo delle neo madri ha subito molte modificazioni nei mesi precedenti e nel post-parto spesso si assume una posizione “a C” con le spalle incurvate quasi a voler ricreare una culla d’appoggio per il neonato a richiamare la vita prenatale. Con il Maternal Walking si ha la necessità di porre attenzione a questo aspetto in modo da ritornare ad aprire torace, polmoni, spalle e testa. La mobilizzazione delle spalle richiesta dalla tecnica di nordic walking (uno degli aspetti più interessanti a mio parere) permette di rilassare le spalle, il trapezio e il collo sempre troppo contratti durante il giorno. Anche l’uso corretto delle braccia durante il walking aiuta a rilassare la parte superiore del corpo.

    Dita dei piedi, queste sconosciute
    La rollata corretta del piede nel Nordic Walking prevede che ci sia un appoggio completo partendo dal tallone e finendo con le dita dei piedi. Non si tratta solo di appoggiarle a terra ma di usarle.
    “Usarle? E come?” Praticando il Nordic Walking ho capito che le dita dei piedi spesso sono incatenate dentro alle scarpe da decenni senza mobilità e che una volta che si incominciano a muovere hanno una forza enorme. Danno una spinta in avanti e verso l’alto al passo rimettendo in attività tanti piccoli muscoli rimasti silenti a lungo. Anche le articolazioni della caviglia, debitamente riscaldate prima del walking, riprendono a muoversi e a rendere più flessibile e meno rigida la camminata e la postura.
    Una buona articolazione della caviglia è fondamentale soprattutto durante la gravidanza dove in poco tempo il peso corporeo aumenta e sovraccarica proprio quella zona così delicata e soggetta a distorsioni. In generale, si può dire che il Nordic Walking prende la sua forza da una corretta rollata del piede che mette in moto tutto il sistema corporeo. Riscoprire quanta forza si può trarre dai piedi, o meglio dal modo in cui si appoggiano i piedi a terra, è importante per le gestanti e le puerpere che troppo spesso abusano della colonna vertebrale per riadattare il peso del corpo in evoluzione o per compiere sforzi ai quali prima non si era abituati come sollevare molte ore al giorno un bambino di svariati chili. Prendere coscienza di come si possa far affidamento al terreno, ai propri piedi e alla muscolatura delle gambe è fondamentale per non arrivare a fine giornata con schiena e braccia distrutte. Mano a mano che si pratica Nordic Walking questa consapevolezza viene automaticamente riportata in tutte le attività quotidiane che si compiono ed è questa la vera chiave di un’attività fisica non fine a sé stessa ma volta al benessere globale della persona.
    Ai vantaggi sopra citati se ne possono aggiungere innumerevoli quali una maggiore ossigenazione polmonare, una tonificazione muscolare e la lista potrebbe essere infinita a seconda della soggettività delle persone coinvolte.

    Dal fisico allo spirito
    Il Maternal Walking non è solo benessere fisico. Come in tutte le attività sportive il benessere fisico è legato a un benessere globale dell’organismo. Praticare Maternal Walking non serve solo a tonificare la muscolatura ma a sentirsi bene nel corpo, nella mente e nello spirito. Alcuni elementi che favoriscono questa condizione:
    Il gruppo e la condivisione: il Maternal Walking è un’attività che può anche essere svolta singolarmente ma in gruppo a mio parere ha degli effetti ancora più positivi e l’ideale è praticarlo a ritmo di chiacchierata: se camminando non si riesce a parlare probabilmente si sta compiendo uno sforzo eccessivo. Un gruppo misto di gestanti e puerpere permette un confronto al femminile su tutte quelle tematiche legate alla gravidanza, il parto, la maternità (e non solo) che spesso vengono affrontate dalla donna solo in ambito ospedaliero o con coloro che “sanno sempre cosa è giusto fare”.
    Mi spiego meglio: in gravidanza o puerperio le donne ricevono moltissimi consigli non richiesti presentati sotto forma di verità assoluta, ma spesso latita un vero confronto alla pari, ideale per vedere che non si è le sole ad avere certi dubbi, paure, emozioni durante un periodo così magico e delicato. In questo modo, si evidenzia non solo l’importanza dell’autoascolto ma anche dell’ascolto dell’altro, si può rafforzare la fiducia nelle proprie capacità e prendere coscienza che c’è un tessuto sociale di donne che si possono aiutare e ritrovare insieme anche al di fuori dell’ora di Maternal Walking.

    – La cura di sé: Prendersi del tempo per sé stesse non è mai tempo perso, ma nel puerperio le madri hanno un focus totale sul neonato. Grazie al Maternal Walking possono dedicarsi a un’attività per il proprio benessere, uscire di casa e riprendere relazioni sociali, camminando con il bambino accoccolato nella fascia o nel marsupio. Il bimbo solitamente si addormenta cullato dal movimento
    della camminata e dal battito cuore della madre, quasi a richiamare la tranquillità della vita prenatale.
    Con il Maternal Walking si torna a respirare nuovamente a pieni polmoni aprendo le spalle e mobilizzandole. Si ritorna piano piano nel mondo con lo sguardo, riportando la testa in posizione eretta e anche questi piccoli gesti possono aiutare il passaggio graduale dall’esclusività iniziale del rapporto madre-neonato all’inevitabile “messa al mondo” del proprio bambino a causa del ritorno al
    lavoro o altri motivi. Camminando si ricomincia ad ascoltare i messaggi che il proprio corpo invia, si pone attenzione a cosa è cambiato rispetto ai mesi precedenti, si cerca un nuovo equilibrio necessario a supportare giornate intense. Anche in questo caso vediamo come il Maternal Walking può riflettere i suoi benefici nella routine quotidiana. Vien da pensare che per le donne in gravidanza sia più semplice dedicarsi alla cura della propria persona ma non sempre è così perché spesso le gestanti lavorano fino all’ottavo mese compiuto e a volte possono essere travolte dal fare per preparare l’arrivo senza riuscire a ritagliarsi del vero tempo per l’ascolto del cambiamento che stanno vivendo. Anche in questo caso, il maternal walking può essere un’ottima strada per ascoltarsi e mantenersi in forma allo stesso tempo.
    Il Maternal Walking è un’esperienza di benessere globale per le donne, specialmente in gravidanza e nel puerperio. È perfetta perché può essere fatta da chiunque e ovunque, a partire dall’uscio di casa e non ha costi se non l’acquisto iniziale dei bastoncini. Il semplice fatto di uscire di casa per un’oretta permette di cambiare l’aria dentro al corpo, riossigenarsi e ricaricare le energie, complice magari un bel raggio di sole, un po’ di verde e la compagnia di altre donne. Il tutto ovviamente.. col sorriso sulle labbra!

    IV.

    L’ascolto corporeo intenzionale è proseguito con le bellissime esperienze di Pilates dove ho scoperto il pavimento pelvico. Per me è stata la scoperta di una forza che sapevo di possedere ma che non sapevo collocare e tantomeno dialogare con essa. Una forza direi primordiale. Un nuovo punto di equilibrio e di respiro energetico dal quale partire per approfondire la consapevolezza della propria persona.

    Pilates in gravidanza e nel puerperio: la forza del pavimento pelvico
    Il metodo Pilates nasce a inizio ‘900 e prende il nome da Joseph pilates, che sperimentò su sé stesso l’efficacia del metodo.
    Un punto di partenza di Pilates fu l’osservazione dei movimenti che compiono i 
    gatti e i bambini piccoli e trovo quest’informazione particolarmente interessante perché dimostra come da piccoli ricerchiamo istintivamente in modo del tutto naturale le posizioni e i movimenti più idonei all’ottimizzazione delle nostre risorse. E poi con gli anni, la vita sedentaria, le posture sbagliate, il condizionamento della mente sul corpo, abbandoniamo questo sapere primordiale.
    Ho praticato in prima persona Pilates e lo trovo davvero un ottimo metodo per avvicinare tutti all’esercizio e alla consapevolezza corporea dal momento che può essere modulato in base alle singole esigenze, senza perdere di efficacia. I vantaggi del metodo Pilates sono innumerevoli:
    permette la tonificazione muscolare, migliora la circolazione e la respirazione e alleggerisce le tensioni scaturite da stress e posture scorrette. Con la pratica costante del Pilates il corpo diventa più forte, flessibile e fluido nei movimenti. E soprattutto, il metodo Pilates richiede concentrazione e ascolto corporeo. Questi requisiti sono la base di partenza per riuscire ad avere un buon controllo posturale e una maggiore consapevolezza in particolare dei muscoli profondi dell’addome e del pavimento pelvico.

    Ma vediamo nel dettaglio come questi muscoli sono coinvolti:

    Power house: pronti, partenza, STOP!
    Il metodo Pilates lavora moltissimo sulla zona addominale ma allo stesso tempo segna uno stacco netto con l’immagine classica di persone intente a ripetere serie infinite di addominali velocissimi senza nessun controllo posturale per ottenere il cosiddetto “effetto tartaruga”. Esercizi questi ultimi che, tra l’altro, vanno a lavorare solo sui muscoli superficiali. Invece, con il Pilates l’insegnante invita all’ascolto del proprio corpo, le sensazioni del contatto con il terreno e in relazione allo spazio. Prima di ogni esercizio si ricerca il baricentro e la posizione neutra in modo da poter lavorare senza sovraccaricare la colonna vertebrale e tenere le posizioni in sicurezza. Una volta trovato il baricentro, che non necessariamente sarà uguale per tutti, la power house è stabilizzata. Per power house si intende quella parte del corpo che va ad includere come dentro ad una cornice i principali muscoli del tronco e della fascia lombare. La power house coinvolge gli addominali trasversi, gli obliqui, il pavimento pelvico, il diaframma, i glutei, i lombi. (la figura sottostante visualizza la power house).

    Una volta stabilizzata la power house, si va ad attivare i muscoli del pavimento pelvico e i trasversi e si può partire a svolgere il resto dell’esercizio. Solo grazie a una costante attivazione e una corretta respirazione l’esercizio risulterà efficace e sempre in sicurezza dal punto di vista muscolare e posturale.
    Anche per questo motivo, il metodo Pilates richiede molta concentrazione e implica quindi 
    un ascolto costante del proprio corpo e dei segnali che invia.

    Il pavimento pelvico: la grande forza sconosciuta.
    È emerso da alcune indagini che la maggior parte delle donne non sappia cosa sia e dove si trovi il pavimento pelvico e in particolare il perineo. Purtroppo molte donne conoscono i disagi ad esso associati, tra i quali ad esempio l’incontinenza urinaria e i prolassi, ma vengono spesso percepiti come un qualcosa di inevitabile, una sfortuna legata all’età o conseguenze di un parto. Qualche donna ne sente parlare nei corsi pre-parto o scopre di avere un perineo solo nel momento in cui subisce un’episiotomia, altre paradossalmente neanche in queste occasioni. C’è poca informazione probabilmente perché la zona pelvica viene considerata un tabù nella nostra cultura. In realtà il pavimento pelvico è la sede della nostra forza e delle nostre emozioni più intime e anche per questo uno degli strumenti più potenti che una donna possiede. E per questo andrebbe scoperto, conosciuto a fondo fin dall’adolescenza, se non prima, per farlo diventare il motore di tutte le nostre azioni, in modo naturale così come si respira.

    In gravidanza il pavimento pelvico assume un’importanza particolare perché questi muscoli sono sottoposti a una pressione maggiore a causa del peso del bambino all’interno dell’utero e all’effetto dell’ormone relaxina che in previsione del parto rende più lassi i muscoli e i tessuti della zona pelvica.
    Il Pilates è un ottimo metodo per prendere consapevolezza del proprio pavimento pelvico e per imparare ad usarlo come una grande fonte di energia, una vera e propria fonte di vita. L’attivazione del pavimento pelvico è la base di ogni esercizio di Pilates e anche per questo motivo la pratica di questo metodo aiuta a potenziarlo prima, durante e dopo la gravidanza. Un pavimento pelvico tonico previene anche le piccole perdite urinarie che si possono avere soprattutto a fine gravidanza e aiuta a tollerare meglio l’aumento del peso nella zona lombare e genitale, perché proprio come un vero pavimento solido, non si piega se il carico posto sopra aumenta. Nella figura sottostante sono raffigurati un pavimento pelvico sano e un pavimento pelvico con prolasso dell’utero.

     

    Ma non si parla solo di potenziamento, bensì di flessibilità: in particolare, durante la gravidanza una donna può imparare a conoscere il proprio pavimento pelvico, scoprirne la forza e la sua elasticità e provare così a rilasciarlo e rilassarlo proprio in vista del travaglio e della fase espulsiva. Ma per far sì che il pavimento pelvico sia un muscolo potente e duttile, bisogna prima capire dov’è e cos’è e il Pilates in questo senso aiuta moltissimo. E prima di ogni lezione bisognerebbe assicurarsi con semplici accortezze che tutte le attendenti al corso l’abbiano identificato e lo percepiscano. Maggiore è la consapevolezza di questi muscoli, maggiore sarà il beneficio che si avrà durante la gestazione, il parto, nel post parto e in ogni fase della vita di una donna.

    Il parto è un evento sul quale non sempre ci si sofferma quando si parla di Pilates. Viene visto come un evento spartiacque che separa la gravidanza dal puerperio. Eppure il prima e il dopo sono intrinsecamente legati dalla più potente e rivelatrice manifestazione femminile di dare al mondo una nuova vita. Nel parto si ha azione e attesa, dolore e gioia, forza e sacrificio, raccoglimento ed apertura. La nuova vita si manifesta passando per il canale del parto ed ancora una volta il pavimento pelvico ne è più coinvolto che mai. È uno dei protagonisti principali della nascita e il perineo si tende più che mai e compie perfettamente il suo scopo permettendo alla testa del bambino e poi al resto del corpo di uscire e svelarsi al mondo. Da un punto di vista fisico, durante il parto il pavimento pelvico e in particolare il perineo è molto sollecitato e se tonico e flessibile aiuta ad avere una fase espulsiva meno traumatica, con meno probabilità di lacerazioni. Da un punto di vista psicologico, avere la consapevolezza del pavimento pelvico aiuta ad utilizzare i muscoli giusti durante le spinte, preservando maggiormente vagina e retto. Aver praticato la tenuta e il rilassamento del pavimento pelvico durante il Pilates aiuta a livello coscio e inconscio a lasciare andare e rilassare maggiormente questa zona durante la fase espulsiva. I benefici del Pilates si riflettono quindi anche durante travaglio e parto. Anche la respirazione, un elemento fondamentale del metodo Pilates, ritorna durante la nascita non in termini di giusta respirazione, ma sempre in termini di consapevolezza. La donna sa come respira il suo corpo perché si è concentrata ed ascoltata durante la pratica e può provare ad usare questa grande risorsa per affrontare al meglio l’evento nascita. In fondo, durante il parto tutto il corpo di una donna respira, non solo i polmoni: respira con la pelle, le ossa, il bacino, gli organi pelvici. E il bambino che è dentro di lei si prepara a sua volta ad affrontare il primo grande respiro.

    Nel puerperio possiamo distinguere diverse fasi dove abbiamo l’immediato post-parto e i mesi successivi. Solitamente si consiglia di riprendere l’attività fisica dopo circa tre mesi dal parto, ma ovviamente non è una regola ferrea e ogni donna va ascoltata e si deve ascoltare per capire che esperienza di gravidanza, parto e puerperio ha vissuto e vive. Nei primi giorni si consiglia alla neomamma di riposare il più possibile seguendo i ritmi del neonato e di restare possibilmente in posizione sdraiata. La situazione ideale sarebbe farsi aiutare da qualcuno per i lavori di fatica. Infatti ogni peso sollevato inutilmente o ogni sforzo non necessario può pregiudicare la salute del pavimento pelvico che è stato molto stressato durante l’evento del parto e che è ancora molto lasso e non pronto per reggere pressioni forti. Ed è ancora troppo presto per pensare di tornare ad “allenarlo”. Quello che si può fare nelle prime settimane è prestare molta attenzione a come si compiono i movimenti abituali proprio per non andare a sovraccaricare zone già particolarmente stressate e quindi porre particolare attenzione ad alzarsi, a sedersi, a prendere in braccio il bambino. Ogni piccolo movimento deve ottimizzare le risorse corporee. Con il passare del tempo si può tornare a pensare a come attivare perineo, trasversi e tornare a mobilizzare tutte quelle zone che in gravidanza erano più bloccate o sopite. E poi quando si è pronte, si può tornare a praticare Pilates per ridare tono al pavimento pelvico e in generale godere di quel benessere mentale e corporeo che l’attività fisica regala.
    Il Pilates è veramente un’ottima disciplina che permette di unire gruppi misti di mamme che 
    desiderano una pratica soft e altre che desiderano un’attività più intensa. Può essere praticato con il bambino o senza e può diventare anche un’occasione di divertimento e scambio tra donne. Con costanza, il metodo Pilates aiuta alla rieducazione del pavimento pelvico nel post parto ma anche negli anni a venire ed è particolarmente efficace anche in menopausa per prevenire o recuperare incontinenze e prolassi. È una pratica che si presta molto bene ad essere affiancate e integrata ad altre discipline come ad esempio Yoga, Feldenkrais, ginnastica posturale, riabilitazione del pavimento pelvico. E la lista può essere infinita perché il concetto di stabilizzazione della power house e attivazione di perineo e trasversi è un ottimo punto di partenza per ogni pratica quotidiana.
    Ho già cominciato a introdurre esercizi di Pilates durante lezioni con donne in gravidanza e puerpere e credo che sarà la base delle lezioni che terrò non appena avrò avviato una mia attività legata al benessere nel mondo femminile.

    V.

    Scoprirsi ogni giorno in evoluzione e in relazione con l’altro aiuta ad aprire la mente, a portare rispetto per il diverso da noi e quindi ad essere realmente utili alla creazione di una rete di aiuto e sostegno che nel piccolo può essere tra donne in gravidanza o in puerperio, ma che io vedo proiettata ad abbracciare il mondo intero. Gli incontri di Yoga hanno fatto luce su come sia importante ascoltare i punti di vista delle altre persone perché c’è sempre da imparare qualcosa di nuovo. La mia visione di vita non va bene per tutti e il confronto può portare a nuove soluzioni efficaci e impensate e a mutare e arricchire le mie idee di partenza. Grazie al confronto e all’apporto altrui si cresce e ci si conosce.

    La rivoluzione silenziosa dello Yoga
    La parola Yoga mi ha sempre rimandato immagini di persone in posizioni complicate e dall’aria non affaticata: persone appoggiate al pavimento solo con la testa e i piedi per aria o seduti ma sollevati da due dita, ecc. E sarà stato per l’apparente inavvicinabilità di queste posizioni che lo Yoga mi ha sempre suscitato un certo timore. L’idea di praticarlo mi ha sempre affascinato ma non ho mai iniziato proprio perché lo percepivo come non accessibile a tutti (a me perlomeno) e molto difficile.

    Cosa significa difficile e facile?
    Ma cosa significa difficile e facile, riuscire e non riuscire? E cosa consideriamo quando parliamo di questi concetti? Il percorso che si compie fisicamente ed interiormente per arrivare all’asana o semplicemente il raggiungimento della posizione finale? Chi “riesce” fisicamente a compiere una certa posizione sarà “riuscito” a percepire anche il percorso psicofisico (termine a mio parere troppo riduttivo) per arrivarci? E viceversa. Chi decide quali parametri usare per stabilire la riuscita o meno di una persona durante la pratica dello Yoga? Davvero il tempo di tenuta di una posizione Yoga può essere un parametro di buona riuscita? Si potrebbe fare una prova ed azzerare queste definizioni cariche di accezioni negative.
    Si potrebbe semplicemente parlare di come si percepiscono le asana e ancora prima il proprio corpo.
    Di come si percepisce il movimento in sé, in relazione allo spazio o prima ancora di come si percepisce la propria staticità. O facendo ancora un passo indietro, sentire se si percepisce qualcosa.
    Senza giudizio verso di sé e verso gli altri. Semplicemente prendendone atto. Abbiamo diversi gradi di percezione del nostro Io e non esiste un percepirsi meglio o peggio, esistono semplicemente delle differenze, per fortuna, in tutti gli essere viventi.
    Ci sono diverse scuole di Yoga, dalle più meditative alle più fisiche, ma tutte si basano sugli stessi principi morali che dovrebbero indicare la strada o perlomeno la direzione per chi desidera approcciarsi alla filosofia Yoga. A mio parere però non è necessario seguire alla lettera i principi base per potersi poi avvicinare alla pratica. Non è detto infatti che tutti compiano una rivoluzione così importante in maniera uguale e con gli stessi tempi e quindi il far propri certi principi potrebbe arrivare anche dopo anni di pratica. L’importante è tenere a mente che lo Yoga non è un esercizio ginnico, ma una vera e propria filosofia che coinvolge la persona a livello soprattutto energetico verso il benessere e una migliore conoscenza di sé. In quest’ottica lo Yoga si inquadra perfettamente con la donna, in particolare durante la gravidanza, il travaglio e il puerperio. Ma soprattutto con chi desidera accompagnare le donne in questa fase particolare della loro vita.

    La rivelazione dello Yoga
    Mi sento?
    Il primo approccio dello Yoga potrebbe essere un invito a sentire, percepire il proprio corpo in una determinata posizione (ad esempio stando seduti a gambe incrociate). Ascoltare cosa il corpo comunica e provare a fare la stessa cosa concentrandosi su singole parti, in staticità e in movimento.
    Diamo per scontato di conoscere il nostro corpo, ma potrebbe essere sorprendente invece cosa succede nell’ascolto di esso in una situazione di concentrazione e lentezza. Vediamo le dita dei piedi, ma se chiudiamo gli occhi le possiamo sentire? Come le percepiamo? Dense, leggere, rilassate…?
    così per tutte le altri parti del corpo. Cerchiamo di mettere in contatto il nostro corpo con la nostra mente e il nostro sentire più profondo. E’ poco utile cercare di copiare asana complicate dal maestro senza passare per un lavoro di consapevolezza. E come provocazione direi che il maestro stesso potrebbe invitare le persone ad ascoltarsi prima di mostrare semplicemente la sua bravura nel compiere asana da copertina. Non condizionare con il suo modo di vivere lo Yoga, il percorso dei suoi allievi. Non dovrebbe porsi come un guru da copiare, ma semplicemente come una guida, una madre che mostra il mondo al suo bambino e che poi lo lascia far da solo, fidandosi delle sue risorse. E ognuno può esser guida di sé stesso. In particolare le gestanti, che incarnano un sentire potente, quasi un sesto senso, capace di vedere oltre. E in loro si ha davvero la perfezione, come se per molti mesi non fossero più solo creature terrene, ma anche divine. Il sapere del mondo è già dentro alla donna che porta con sé una nuova vita; non hanno bisogno di maestri. Anche se troppo spesso, si pensa che invece una donna in gravidanza abbia bisogno di consigli e lezioni più che mai. C’è quasi una gara da parte di parenti, amici, medici, internet, libri, televisione e società in genere a trasferire alla futura mamma le direttive giuste da seguire alla lettera per avere una buona gravidanza, un buon parto e infine essere una buona madre. E accade la stessa cosa nel puerperio. In una lezione con gestanti sono convinta che il vero sapere lo si può apprendere osservandole più che consigliandole.

    Destrutturazione di un’asana.
    La vera rivelazione per me è stato scoprire che lo yoga è per tutti.
    Chiunque può praticarlo, l’importante è ascoltarsi e non forzarsi. E avere un maestro che non forzi ma che abbia fiducia nei suoi allievi. Non siamo tutti uguali e quindi è normale che ognuno abbia una diversa percezione del proprio corpo e delle parole ascoltate. Un esempio illuminante è stata l’esecuzione e l’analisi di un’asana durante una lezione: divisi in gruppi, abbiamo letto la descrizione di un’asana e provato a farla. Nonostante la descrizione e l’immagine fossero tratte da uno dei libri più riconosciuti, l’esecuzione risultava molto complessa soprattutto perché la descrizione non era chiara per quasi la totalità delle persone presenti. Se fossi stata a lezione con l’insegnante che ha scritto il libro, probabilmente mi sarei sentita inadeguata non comprendendo come arrivare all’asana e avrei abbandonato dopo poche lezioni. Abbiamo allora provato a guardare l’immagine e a confrontarci su come ci si sarebbe potuti arrivare in modo più semplice, con parole meno direttive. Il gruppo insieme ha in poco tempo trovato il modo per rendere la pratica accessibile a tutti semplicemente invitando a provare certi movimenti o posizioni perché ognuno potesse trovare la propria strada. Destrutturare un’asana e renderla comprensibile ed eseguibile è stata una vera rivelazione. Guardando le mie compagne ho capito quanta conoscenza possiede dentro di sé una persona, anche non praticante di yoga. Il segreto è riflettere e ascoltarsi. E fidarsi.
    Trasmettere questa sensazione in un corso per gestanti, puerpere o misto sono sicura sia la strada giusta per condurle a un reale benessere. La fiducia in sé stessi e la consapevolezza che derivano dall’ascolto e dalla concentrazione della pratica dello Yoga sono l’arma più potente che una persona possiede per compiere la propria rivoluzione interiore e poi portarla nel mondo. Ritrovare o fortificare questa fiducia nelle proprie risorse con donne in attesa o neo mamme porterà sicuramente un potente beneficio anche ai loro bambini, diffondendosi poi come un’energia al nucleo famigliare e alla società. Partire da sé stessi per illuminare il mondo.

    La rivoluzione dello yoga
    Assistere alla lezione descritta sopra mi ha illuminato sulla capacità delle persone di riflettere su ciò che viene presentato già pre-confezionato come se ci fosse solo un modo giusto per fare le cose.
    Lavorare in gruppo con altre persone evidenzia punti di vista molto diversi dai propri ed è affascinante quanto si possa imparare osservando come gli altri arrivano a stessi risultati in modo differente. Modalità che magari io non avevo considerato. Mi ha mostrato che non esiste un modo o un sentire giusto o sbagliato. Per lavorare con le donne in gravidanza e in puerperio è fondamentale mettersi nell’ottica di non possedere la verità universale, anche solo per quanto riguarda affrontare un’asana. È impossibile aiutare le donne in gravidanza, travaglio, parto e puerperio se non si prende coscienza del diverso grado di sentire e percepire. Questa grande lezione di apertura mentale si riversa nella quotidianità e può far nascere una piccola grande rivoluzione personale che porta a osservare le situazioni da punti di vista diversi in ogni ambito della vita, accettando il diverso in ogni sua forma. Sono uscita molto arricchita dalle lezioni di Yoga seguite che mi hanno permesso, anzi invitato, a ricercare l’espressione personale considerandola come un bene prezioso e l’obiettivo più importante. Mettere in discussione le nozioni preconfezionate e ripartire dall’ascolto di me è stata una scoperta preziosa che spero di riuscire a trasmettere a mio volta ad altre persone.

    VI.

    Feldenkrais®: dalla lentezza alla consapevolezza
    L’ascolto dell’altro e la sua attesa in quanto essere consapevole richiama la Lentezza. La lentezza è una risorsa potentissima per riuscire ad ascoltare, infrangendo tutti gli schemi precedentemente interiorizzati, fisici e mentali. Si scopre un nuovo modo di muoversi, uno scambio di energie con altre persone, impossibile fino a che non si ha un’apertura verso il diverso da noi. L’esperienza di Feldenkrais® è stata importante per andare alla ricerca di ritmi lenti che permettono di scardinare l’ordinario ed entrare in profondo contatto con il proprio corpo.

    Il metodo Feldenkrais® e le sue caratteristiche principali
    Il metodo Feldenkrais® nasce nel secolo scorso ed è una pratica corporea di auto-educazione attraverso movimenti lenti che permettono alla persona di prendere consapevolezza dei propri schemi corporei con l’obiettivo di un benessere globale e permanente.

    Concentrazione
    La concentrazione è fondamentale soprattutto in un lavoro lento. Il metodo Feldenkrais® non è un lavoro aerobico spinto o anaerobico. Stiamo parlando di una pratica di consapevolezza che non può prescindere da una concentrazione totale per porre l’attenzione al “qui e ora”. Se la mente vaga, l’ascolto viene meno e nel corpo riprendono gli automatismi quotidiani. E nell’abitudine non abbiamo conoscenza.

    Lentezza
    “Affidatevi alla lentezza. È la lentezza che ci dà la possibilità di scoprire nuove strade, di uscire dall’abitudine”.
    A un osservatore esterno potrebbe sembrare una pratica rilassante e molto blanda ma in realtà lo sforzo maggiore è proprio lavorare con lentezza per scardinare i movimenti automatici ed uscire dall’abitudine, come disse l’insegnante di Feldenkrais® alla prima lezione. Fermarsi, concentrarsi sul movimento, capire da dove si genera, sentire che cosa mette in moto nel resto del corpo, provare a farlo partire da altre zone. Sradicare l’automazione per comprendere i collegamenti corporei è una pratica non abituale e solo attraverso la lentezza si possono percepire i più fini cambiamenti. Ad esempio, provare a sollevare il braccio non in automatico, ma partire anche solo con l’intenzione di muovere la scapola e poi sentire che tutto il corpo risponde a questo stimolo è un’esperienza illuminante che può essere percepita attraverso completa concentrazione e lentezza.

    Rispetto dei limiti
    Spesso durante un esercizio siamo spinti, dalla nostra cultura o per altre ragioni, a non ascoltare i segnali che il corpo invia e quindi a non riconoscere i nostri limiti. E quando invece si percepisce un limite spesso lo si ignora pensando che sia necessario superarlo altrimenti non si è abbastanza bravi.
    Al grido di “niente è impossibile” e di “superare i propri limiti” ci si spinge sempre oltre a volte provocando dei danni al nostro corpo. Sono convinta che sia importante voler migliorare nella pratica ma pensando bene a cosa questo termine significhi e sempre nel rispetto di quello che il corpo ci comunica e con i tempi che esso ci detta. L’obiettivo dovrebbe essere il benessere e non lo sforzo.
    Ignorare un fastidio o un dolore e lavorarci sopra non aiuta a risolvere il problema ma al contrario lo acuisce sempre di più. Non è vero che se non si sente dolore il corpo non stà lavorando. Come il neonato usa il pianto per comunicare un bisogno, il dolore è la via che il fisico possiede per lanciare una richiesta di aiuto alla mente: stop, fermati!
    Quindi non esiste un modo unico, giusto o sbagliato per compiere un esercizio. Ognuno dovrebbe farlo rispettando i messaggi che il corpo invia e ciò è possibile tramite l’ascolto.

    Riposo
    Uno degli aspetti più interessanti a mio parere è il riposo. Durante gli esercizi di Feldenkrais® non solo è utile riposare tra un esercizio e l’altro e concentrarsi sui segnali corporei, ma è addirittura obbligatorio fermarsi ogni volta che se ne sente la necessità, anche durante l’esercizio. Decisamente un’indicazione controcorrente e coraggiosa se si pensa che il Feldenkrais® prevede esercizi molto molto lenti e non si parla quindi di un riposo puramente fisico come potrebbe essere in una lezione di zumba.

    Ascolto
    Nella pratica del metodo Feldenkrais® è fondamentale ascoltare con tutti i sensi a nostra disposizione il movimento e le modificazioni corporee che esso porta. Non solo durante il movimento ma anche nel prima e nel dopo, nei momenti statici e di riposo. Attraverso l’ascolto si può arrivare alla consapevolezza dei propri schemi corporei e alle emozioni e sensazioni che il lavoro fà affiorare in noi. L’ascolto di sé a mio parere prevede un’attitudine positiva al cambiamento e al non giudizio; infatti, attraverso il Feldenkrais® ci si potrebbe sorprendere da come poco si conosce il corpo e da come esso reagisce a lentezza e scardinamento dell’abitudine. Se dovesse succedere è fondamentale non giudicare negativamente quello che affiora, ma semplicemente prenderne atto come se fossimo alla riscoperta di noi stessi. L’ascolto racchiude gli elementi citati sopra perché richiede concentrazione, lentezza, rispetto e riposo.

    Consapevolezza
    Uno degli obiettivi principali del metodo Feldenkrais® è la consapevolezza di sé, necessaria per poter trasformare il beneficio della pratica saltuaria degli esercizi in benessere permanente e globale.
    L’ascolto del proprio schema corporeo attraverso la concentrazione, i movimenti lenti, i momenti statici, le emozioni e le sensazioni apre la strada a una riscoperta del corpo e a una maggiore consapevolezza delle proprie risorse e forza. Essere consapevoli dei propri schemi corporei aiuta a rendere più semplice ed efficiente il movimento durante qualsiasi azione della quotidianità. E un corpo più sano a livello muscolare e posturale può portare un beneficio non solo fisico ma anche
    mentale e spirituale.

    L’utilità del metodo Feldenkrais® nei corsi di accompagnamento alla nascita
    Il metodo Feldenkrais®, a mio parere, è la base per andare alla ricerca di una consapevolezza corporea nuova in gravidanza e nel puerperio, per poi acquisirla e mantenerla per tutta la vita.
    Ascoltare come lavora il corpo e da dove partono i movimenti, anche i più semplici come alzare un braccio o muovere il collo è la base di partenza per tutti gli esercizi o movimenti futuri. Solo dopo aver acquisito questa consapevolezza è possibile impostare lavori diversi, più veloci, più articolati.
    In gravidanza si hanno modificazioni fisiche importanti che portano a cambiamenti posturali che possono creare disagi o problemi a volte trascinati anche nel post gravidanza. Spesso alle gestanti capita di soffrire di infiammazione del nervo sciatico, dolore ai lombari o altre zone della schiena, di avere tensione al collo. A volte per posizioni sbagliate assunte durante il giorno o semplicemente a causa del cambiamento di peso e del baricentro. Grazie al Feldenkrais®, la donna in gravidanza può percepire come si muove il suo corpo in evoluzione, i collegamenti che uniscono tutte le singole parti e può sperimentare e rendere più efficiente il movimento, sentire da dove può prendere la forza per non affaticare la colonna vertebrale. Ad esempio, con pochi esercizi, si può percepire chiaramente quanta forza si può trarre dal terreno per camminare, per alzare una gamba, per mobilizzare il bacino e potrei andare avanti all’infinito perché il corpo è un tutt’uno e qualsiasi movimento lo coinvolge nel suo intero. Usare i piedi per trarre la forza dal terreno aiuta ad alleggerire il resto del corpo e quindi ad attenuare il fastidio o dolore delle zone solitamente sovraccaricate.
    Il metodo Feldenkrais® è una pratica di educazione corporea perfetta per qualsiasi periodo della gestazione e del puerperio perché si svolge sempre nel rispetto dei propri limiti. In questo modo si evita lo sforzo e si trova una via alternativa al dolore. La donna può dolcemente rieducare il corpo al fine di compiere i movimenti in modo differente laddove ne percepisca l’esigenza e arrivare a una correzione posturale per evitare il dolore, senza ignorarlo, anzi addirittura prevenendolo. Inoltre, il Feldenkrais® offre strumenti importanti alla donna per diventare indipendente anche nel quotidiano e quindi invece che di educazione corporea si può parlare di una vera e propria auto-educazione volta
    al benessere permanente.

    Un esempio concreto
    Federica è una ragazza alla sua prima gravidanza e durante i nostri primi incontri abbiamo lavorato molto dolcemente con esercizi di Feldenkrais® abbinati al Pilates e al Maternal Walking. Prima di preparare le lezioni abbiamo parlato e mi ha detto che si sentiva contratta a livello alto della schiena e del collo e ferma nella zona del bacino. La prima lezione è stata impostata sull’ ascolto corporeo in posizione supina per poi passare all’esercizio dell’orologio pelvico. Lavorando molto lentamente sull’ascolto del movimento, Federica a fine esercizio mi ha comunicato che all’inizio ha fatto un pò fatica a far partire il movimento esercitando una piccola pressione con i piedi, ma in seguito ha sentito un forte collegamento tra piedi, bacino e collo. La rotazione del bacino nelle diverse direzioni portava dei cambiamenti evidenti nella parte alta del corpo. Una volta terminato il lavoro dell’orologio pelvico e l’ascolto delle differenza tra il prima e il dopo e le sensazioni provate, siamo ritornate in posizione supina per prepararci e concentrarci sull’esercizio successivo. Sdraiata sul fianco, Federica ha mobilizzato la gamba e poi il braccio libero fino a trovare una posizione comoda e in seguito ha lavorato sull’apertura laterale del braccio e infine del ginocchio, coinvolgendo anche altri parti del corpo (testa, sguardo, collo) nella rotazione. Dopo aver lavorato sull’altro fianco, in posizione supina abbiamo eseguito un dondolo lento tenendo le ginocchia con le mani (Federica tenendo le gambe leggermente aperte) e abbiamo concluso con il ritorno alla posizione iniziale neutra per percepire le differenze. Non scendo nel dettaglio dell’esercizio perché è stato un processo lento e molto graduale. Il feedback della gestante è stato positivo: si è sorpresa di come un lavoro così lento e a volte con movimenti minimi potesse coinvolgere tutto il corpo, in modo particolare la colonna vertebrale. Ha sentito in entrambi gli esercizi una mobilizzazione della zona cervicale e del bacino che a suo dire “sono delle zone sempre bloccate”. E durante i momenti di riposo e di ascolto statico ha percepito differenza tra il prima e il dopo nell’appoggio a terra del suo corpo, una sensazione di rilassamento. Interessante anche la percezione di Federica tra la differenza della salita del braccio praticata in maniera spontanea (quasi automatica) con la salita del braccio praticata facendo partire intenzionalmente il movimento dalla scapola. La forza che tutto il corpo porta in aiuto al movimento nel secondo caso riconduce a un’unità dello schema corporeo che non si ha nel primo caso in cui lavora solo il singolo arto.
    Sicuramente il metodo Feldenkrais® può essere molto utile nei corsi di accompagnamento alla nascita in quanto porta ad acquisire una grande consapevolezza di sé, del proprio schema corporeo e della propria forza. Risorse che possono essere utili soprattutto quando il corpo è in veloce evoluzione come in gravidanza, in travaglio e parto e nel puerperio. È possibile a mio parere, creare delle lezioni basate esclusivamente su esercizi che richiamano il Feldenkrais®, sia inserirli a inizio e/o fine lezione.

    La mia esperienza
    Dopo poco l’inizio della prima lezione di Feldenkrais® ho capito di essere un animale vertebrato.
    Forse un’affermazione forte, ma questa è stato il mio primo pensiero e non voglio sminuirlo razionalizzandolo troppo. Ovviamente, sapevo già di avere uno scheletro ma più che altro a livello teorico: durante il giorno, sia che stessi seduta, in cammino o qualsiasi altra attività, spesso mi comportavo come se la mia colonna vertebrale non esistesse, come se non facesse parte del mio corpo e non potessi dire la mia sulla sua utilità. Era la mia schiena a decidere di stare storta o “molle”.
    Grazie al Feldenkrais® ho capito che posso essere un giunco agile e flessibile o un tronco solido e robusto a seconda delle necessità. E sono io a deciderlo, grazie alla nuova consapevolezza del mio schema corporeo. Sentire i collegamenti corporei e non percepire più solo le singole parti ma l’intero sistema muscolo-scheletrico mi porta a una sicurezza nuova. E ora che lo percepisco meglio, sento maggiormente anche la sua relazione con l’ambiente circostante: come in uno scambio di energie, corpo ed ambiente si aiutano, si fondono e completano.
    Un paio di esempi: il dolore che avevo ai lombari è scomparso in pochissimo tempo usando la colonna come un tronco solido quando sollevo mio figlio da terra. O meglio, non parlerei più di sollevarlo con le sole braccia e la schiena spesso fuori controllo; ora mi avvicino a lui e lo accolgo tra le braccia col sostegno della schiena, del collo e delle gambe. Inoltre, ho sempre dato per scontato che sapessi alzarmi da terra, ma anche in questo caso grazie al Feldenkrais® ho trovato una nuova via per farlo, più semplice e molto più efficiente, sfruttando la spinta del terreno e una postura ragionata.
    Grazie al Feldenkrais® e altre pratiche di consapevolezza, il mio corpo non è più un peso da trascinare ma è la mia forza, la mia risorsa, è il mio Io fisico che rispecchia il mio Io emotivo, mentale e spirituale.

    VII.

    A fine percorso O.O.M. frequento i webinar sull’allattamento tenuti dalle bravissime Marika Novaresio e Chiara Spadoni. Contemporaneamente entro a far parte della community online di Mammole sull’allattamento e scopro un mondo meraviglioso di donne che attraverso facebook presentano le loro storie, si confidano, chiedono consigli o semplicemente passano per un saluto. In poche parole si affidano l’una all’altra, si sostengono nonostante siano molto diverse tra loro. Queste donne sanno che se hanno bisogno non sono sole, c’è una rete pronta a sostenerle. Penso molto alla sospensione del giudizio di cui si è parlato durante il corso di O.O.M., all’importanza dell’ascolto vero e con il passare dei webinar mi sento pronta ad ascoltare altre mamme, a sostenerle nelle loro scelte, qualsiasi esse siano.

    A Essere presente. Ad affidarmi a loro e ad entrare in punta di piedi e rispetto nel mondo sacro che ognuna possiede e che desidera condividere.
    Poco dopo, entro in contatto con una mamma che chiede un sostegno proprio sulla pagina allattamento e che abita non distante da me. La storia di questa mamma è stata l’ennesima rivelazione di quanto siano forti le donne e di quanto vadano rispettate e ascoltate.

    Un atto d’amore
    L. è una neo mamma che ha partorito la sua splendida bambina da due settimane. Quando è nata L. non ha potuto allattare sua figlia e neanche tenerla troppo vicina al seno perché la piccola M. non doveva assolutamente prendere neanche una goccia di colostro. In famiglia c’era stato un caso di galattosemia e anche M. poteva averla. Partono subito gli esami ma viene detto a L. che per gli esiti ci vorranno circa tre settimane. La neo mamma decide subito di provare a usare il tiralatte per darsi la possibilità di allattare in caso la sua bambina fosse risultata negativa alla galattosemia. Inizia subito in ospedale e continua anche a casa in modo autonomo senza che nessuno le spieghi come e quante volte usarlo. Nel frattempo, si ammala di una brutta bronchite che la costringe a cambiare due volte terapia antibiotica e alla figlia viene la tracheite. Lei imperterrita continua a tirarsi il latte e a occuparsi della piccola, nonostante la mamma e il marito non la sostengano in questa sua decisione. Finalmente riceve gli esiti degli esami e si scopre che M. non ha nessun problema e quindi L. decide subito di attaccare la bimba al seno. La bambina non riesce ad attaccarsi, L. si agita molto e quando riesco ad andare a trovarla vedo che ha i capezzoli molto introflessi (motivo per cui la madre dice di non aver allattato le sue figlie) e l’areola un po’ gonfia e quindi la bambina fa molta fatica a prendere efficacemente la porzione di seno anche se istintivamente lo cerca, anche quando la madre è vestita.
    Mentre parliamo la bimba non si attacca ma comincia a leccare contenta il latte che gocciola.
    Una volontà così forte da parte di mamma e figlia mi ha sconvolto. In quel momento ho avuto la certezza di essere davanti a un momento intimo e sacro. Avevo già percepito durante le esperienze di massaggio alla mamma e nei gruppi di massaggio al neonato lo stessa sensazione e allo stesso tempo l’onore di esser stata invitata ad assistervi. Ma in questo caso è stato ancora più forte. Ho fatto un passo indietro e ho cominciato solo ad ascoltarle. E così L. ha cominciato a raccontarmi, di sé, della mamma, del marito, del suo parto, della sua difficoltà ad essere sola in una città che non le appartiene, della sua difficoltà a star dietro alla casa e alla preparazione dei pasti e allo stesso tempo della difficoltà ancora più grande di darsi il permesso di non doverlo fare necessariamente. Dell’ansia che la prende quando prova ad allattare e non riesce. Ma mi ha raccontato anche del suo desiderio di farlo e dell’amore infinito che ha provato immediatamente per la sua bambina. In quel momento ho capito che loro ce la faranno e che desiderano entrambe farlo, anche se l’ambiente famigliare non è molto favorevole e le difficoltà ci sono. Parlando L. si sfoga e si tranquillizza un pochino e la piccola M.si attacca e comincia a succhiare dal seno… e io nuovamente mi sento piccola davanti a questo amore istintivo e primordiale e gli lascio il loro spazio. É una storia molto recente e il finale è ancora da scrivere. Ci sono ancora difficoltà con l’attacco e molto fastidio ai capezzoli dal momento che sono sempre stati nascosti e quindi mai a contatto neanche con il tessuto. Ma ogni giorno c’è un piccolo passo in avanti.
    La mente di L. è già proiettata a quando toglierà i biberon di latte artificiale. Io 
    continuo a sostenerle e ad ascoltarle, cercando di rispettare i loro tempi e le loro emozioni.
    Questa storia mi sta insegnando e donando molto. Rispetto ad altre esperienze come il massaggio, il maternal walking e l’acquamotricità prenatale ho dovuto fare un lavoro su di me ancora più grande.
    Per non proiettare i miei desideri, i miei tempi e le mie modalità di agire che ovviamente sono diverse da altre persone. Ascoltare e supportare realmente una mamma in difficoltà con l’allattamento è stata un’ulteriore rivoluzione personale che mi ha obbligato a fare un passo indietro e passare dall’agire allo stare. Stare accanto. Aspettare l’altro non è più un tempo da riempire con ansia muovendosi al posto dell’alta persona, pressando e spingendo verso una direzione. Ma è un tempo da leggere, interpretare, ascoltare. Uno spazio di riflessione utile a ricordarsi perché si desidera farlo e come si può essere di supporto, stando accanto senza sostituirsi. Respirare e ascoltare l’altra persona necessita di un continuo lavoro su sé stessi ed è l’ulteriore conferma che se ci si affida si mette in atto uno scambio di dare e avere che permette di crescere e conoscersi, sempre rispettandosi nelle proprie diversità.
    Grazie L. e M. per averlo reso possibile.

    VIII.

    Sono pronta ad ascoltarti
    L’ascolto mi ha portato ad essere più consapevole di me stessa ed è un percorso che non avrà mai fine perché nella nostra evoluzione è bene non fossilizzarsi sulle scoperte già fatte. La consapevolezza mi ha portata a vivere in modo attivo, partecipativo, a livello relazionale ed energetico. Una consapevolezza che in mano a donne in gravidanza e nel puerperio può cambiare il mondo.
    La 
    gravidanza è un’occasione spesso unica per mettersi in ascolto con sensi e poteri aumentati. Possono esserci momenti di solitudine e difficoltà dove una rete di ascolto può fare la differenza e attivare nella donna una consapevolezza non indagata e non ancora scoperta. Questa ricerca può essere la chiave per il benessere psicofisico. Partire dal corpo per percepire le proprie risorse e trasformarle in una forza quotidiana. Un percorso che compiuto in gravidanza o puerperio può porre le basi per il futuro della donna e anche del bimbo in grembo o appena nato.
    Il percorso per diventare operatrice olistico materno-infantile mi ha donato molti strumenti per poter sostenere le donne nel loro viaggio personale. Strumenti molto diversi che quindi si adattano bene alle diverse tipologie di persone che si incontrano e alle diverse esigenze. Acquamotricità, Fiori di Bach, Maternal walking, consapevolezza corporea con elementi di Pilates, Feldenkrais e Yoga, massaggi alla madre e massaggio al neonato sono apparentemente differenti ma hanno lo stesso obiettivo: il benessere globale dell’individuo.
    E maggiore è la rete di donne che si crea, maggiore sarà la sua forza e la sua estensione per raggiungere tutte le donne (e non solo) che lo desiderano. Essere un’operatrice del materno-infantile per me significa fare parte di questa rete, promuoverla e sostenerla, sempre nel rispetto dell’altra persona.
    Una rete di esseri unici e diversi ma pronti al mutuo sostegno e fiduciosi l’uno dell’altro. Una 
    rete che trae la sua forza dalla conoscenza di sé e dall’ascolto reciproco.

     

    Erica Collu
    Operatore Olistico Maternoinfantile

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